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martedì 6 novembre 2012

LE MIE LEVATRICI HANNO SEMPRE I BAFFI


Le mie Levatrici
hanno sempre i Baffi

I Baffi di un superidraulico
che idraulico non è

Eppoi

I Baffi di un Superuomo
che super non è

Nel mezzo
i Baffi miei

Che poi
sono i loro.

Alè

 

giovedì 18 ottobre 2012

W NIENTE





Un capolavoro bai  W NIENTE 

Alè


mercoledì 17 ottobre 2012

W TUTTO

  
E così
la speranza è la prosecuzione dell'assenza con altri mezzi

La speranza fallisce
L'assenza mai.

Alè

giovedì 11 ottobre 2012

IL TEMPO DI UN CENTIMETRO


Scrivere 
è vendicarsi
Scrivere 
è non farcela
è essere stato
è annegare

Scrivere significa
perdere
aver perso
perderò

Mentire morire sparire
scrivere

Scrivere è
uccidere
colpire alle spalle
uccidere ancora
E poi
invidiare vomitare fingere
Perdere tempo

Scrivere o sofffocare
fa lo stesso
E' il mondo che non esiste
il mondo che non ti vuole
il mondo che non sa parlare

Scrivo
mi spezzo ho paura esplodo

Sono migliore
sono peggiore
perchè solo questo?
Scrivo

Scrivere
è viltà
è non essere
è - ripeto - annegare

E' condannare a vita la morte.

Scrivere 
è vendicarsi della vita
che si vendica mentre scrivi.


Alè

mercoledì 3 ottobre 2012

N. 0

Quello che si dovrebbe essere,
 quello che si vorrebbe essere, 
quello che si crede di essere, 
quello che si potrebbe essere 
e quello che poi si è.
 

Alè

TEMPO DI CADERE

La possibilità è la realtà, ovvero la contingenza: non puoi fuggire, puoi solo dimenticare.
 

La volontà è il desiderio, ovvero la necessità: non puoi dimenticare, puoi solo fuggire.
 

Ma fuggire senza dimenticare in fondo non vale niente.Così, se non puoi dimenticare, allora non puoi nemmeno fuggire.
 

Per questo è desiderio, volontà, necessità: perchè ti insegue fino alla fine. Questo riesco a vedere: e tant'è.

Alè

venerdì 24 agosto 2012

R

Alè

martedì 21 agosto 2012

WiITTE

Il mondo è fatto di due cose
Ci sono le Cose che si possono dire
e
le Cose che non si possono dire
ma nessuna delle due andrebbe detta.

Il Mondo odia venire al mondo

giovedì 5 luglio 2012

NON HO TEMPO DI LAVORARE


Fare come EsserePer essere qualcosa o qualcuno è necessario essere individuabile da qualcosa o qualcuno. Poter essere riconosciuto come individuo, quindi. Individuo inteso come realtà che non si può dividere, che non può essere divisa senza perdere la sua essenza, la sua effige, il suo carattere. Una particella indivisibile. Come tale, questo individuo deve mostrare un minimo grado di autonomia, deve poter definire in qualche modo se stesso e le proprie circostanze. In breve, essere un individuo è una sporca questione di senso. Di far senso, anche. Persino di dover far senso. Faccenda assai complicata oggi, dico io. In questa sciocca post-post-modernità che è talmente post da divenire pre. La questione di cosa essere e di come essere è la vera questione per l’Uomo. Qui ed ora. Non fosse altro che negli ormai scomodi vagoni della Grande Locomotiva Occidentale l’identità individuale è cosa che sempre meno riguarda l’individuo. E’ come se piovesse dal cielo. Qualcuno la lascia cadere e tu prendi quella che ti tocca. Piovono pietre, ma pazienza. Sempre meglio che essere niente. Bene, una di queste pietre identitarie –diciamo così - è oggi il lavoro. Nuovo (ma nemmeno tanto) Idolo, Totem dell’uomo moderno. Pervasivo, invasivo, persuasivo. Dovunque, comunque lavoro. Glorificato, denigrato, agognato. Lavoro. Unità di misura delle umane cose. Per campare devi lavorare, altro non si dà. Da secoli questo assunto viene ripetuto, fino a trasformarsi quasi in legge della natura. In legge della coscienza, in condizione a priori. Che si provi ad immaginare la propria vita senza lavoro. Impossibile. Sarebbe come immaginare uno spazio infinito, un tempo eterno, un lavoro fisso. Tanto è vero che si parla persino di un diritto al lavoro, quasi coincidesse con un più generale diritto alla vita. O, meglio, alla sopravvivenza. Paradosso? Mica tanto, se per la così detta società c’è una totale identità tra la funzione produttiva alla quale il singolo assolve e la propria identità, il proprio essere così e non altrimenti. Il principio di individuazione sembra ormai essere: tu sei quello che fai. La condizione e insieme la causa di questo processo è da ricercarsi nella struttura economica, politica e sociale del nostro tempo e del nostro spazio. Non è sempre stato così e non lo sarà sempre – ammesso che un sempre ci sarà ancora. L’esistenza umana trasformata in produttività umana è parto malriuscito di quell’inspiegabile idea secondo la quale si ha diritto alla vita solo se si contribuisce con la propria fatica a far girare gli ingranaggi di una macchina abnorme, eterodiretta e votata all’accumulo di qualunque cosa esista. Ovverosia esisti se contribuisci al funzionamento di qualcosa che è talmente grande, talmente complesso e talmente forte da nascondersi alla comprensione dei più. Grandi segreti di un sistema, quello capitalista del nuovo millennio, che non sa morire perché non vuole. Ma l’agonia genera mostri, l’abbiamo imparato. Il suicidato dal lavoro è l’ultimo orribile capolavoro di questa agonia che chiamano crisi sistemica per non spaventarci troppo. Questo accade quando perdere il lavoro significa perdere la propria identità.
Tempo per essere, Tempo per fare – l’esistenza non si misura con il Tempo. L’esistenza è Tempo. Costituita da porzioni di Tempo e sottomessa alle regole del Tempo: per vivere ci vuole Tempo. Per essere, soprattutto, ci vuole Tempo. Dicevamo che l’individuo deve formarsi da sé, deve poter definire se stesso e, per ciò, possedere un certo grado di autonomia. Diversamente, si ha bisogno di qualcosa che ti dia forma, che ti informi. Ma in tal caso salta il concetto di individuo e subentra quello di protesi, copia, surrogato di un individualità altra. Per essere individuo, dicevamo, c’è bisogno di tempo. Tempo per ragionare, desiderare, riflettere, sbagliare, scegliere, rinunciare, amare, odiare. Per autodeterminarsi, per essere se stessi. Sappiamo però che il Tempo individuale è un tempo finito, limitato, che si esaurisce. E sappiamo anche che l’unica cosa che l’uomo può fare con il Tempo è quello di sceglierne l’utilizzo. Entro i limiti del possibile, naturalmente. Ognuno può fare da sé un breve calcolo e scoprire quanto tempo l’uomo di oggi dedichi al lavoro. E, per sostenere la tesi che qui si prova ad accennare, basta davvero questo semplice calcolo. Se la quasi totalità degli attimi a disposizione di un uomo vengono occupati (spesso abusivamente) da un’occupazione lavorativa, ecco che di tempo per il resto non c’è n’è. Il resto è naturalmente tutto il resto: la costruzione della propria individualità. Se lavori pensi al lavoro, there is no alternative. Chiedetevi ora perché il Tempo non occupato dal lavoro si chiami tempo libero e non, che so, tempo divertente. La risposta è contenuta nella domanda. La definizione di libero prevede un termine di paragone implicito per essere sensata. E il secondo termine è qui quello di costretto. Se ne inferisce che l’altra specie di Tempo, quello lavorativo, sia un Tempo costretto, non libero. E dunque impersonale, divisibile, non-individuale. C’è della coerenza in tutto questo: noi non scegliamo di lavorare, noi dobbiamo lavorare. L’idea che lavorare sia un libero atto della volontà è un’illusione. Il lavoro-dovere si è trasformato nella coscienza in lavoro-volere sino ad apparire come una legge immutabile del mondo, un’idea inconscia radicatasi in noi dopo secoli e secoli di abitudine. Di nuovo: se non hai tempo per diventare te stesso, sarai individuato per ciò che farai. Cioè per ciò che non sarai. Perché il lavoro, comprando Tempo, compra l’esistenza.
Lo scopo: il grande assente – Niente ha uno scopo in se stesso. Nemmeno il lavoro. E’ l’essere umano in quanto essere teleologico che per vivere ha bisogno di cercare e trovare uno scopo, una finalità in tutto ciò lo riguarda. E, a dire il vero, l’uomo è sempre riuscito a trovare uno scopo. Spesso distorto, ingannevole, vano. Ma l’uomo, per sua fortuna, non è Dio. Può sbagliare. Epperò sembra che oggi questo animale giustificatore faccia una fatica del diavolo a trovare uno scopo al lavoro così come oggi è concepito e organizzato. Sono andati i bei tempi in cui lavorare voleva dire poter toccare con mano la propria sopravvivenza. Ancora più lontano è il tempo in cui lavorare significava poter esprimere la propria personalità, il proprio talento, la propria vocazione. Il “lavoro come opera” è morto. Certo, oggi il lavoro è ancora legato alla sopravvivenza, d’accordo. Ma alla sopravvivenza di chi? Alla sopravvivenza di cosa? E’ del tutto evidente che oggi l’uomo non lavora più per la propria esistenza, intesa come esistenza individuale. Oggi il lavoratore sgobba per la propria esistenza commerciale, consumistica, edonistica. Si lavora per poter consumare, per poter soddisfare dei bisogni che sono per la maggior parte indotti. Si lavora per restare un ingranaggio efficiente tra altri infiniti ingranaggi senza i quali, dicono, l’essere umano perirebbe. Si lavora per nutrire quel Grande Individuo impersonale che chiamiamo società. Si lavora per tutti e per nessuno. In summa: si lavora per consumare, per poi lavorare di nuovo. Lavorare per lavorare. Il lavoro smette così di essere un mezzo – uno strumento - volto al raggiungimento di un qualche scopo per divenire scopo esso stesso. Scopo a se stesso. Stando così le cose, risulta impossibile rispondere alla fatale domanda “a che scopo?”. L’uomo moderno ha creato le condizioni tali per cui è avvenuto nel concetto di lavoro un avvitamento di scopi, tanto che oggi non se ne trova nessuno. Che senso ha, ad esempio, chiedere le “ferie”, ovvero elemosinare uno sputo del mio tempo a qualcuno che misteriosamente è riuscito a comprarlo? Dov’è lo scopo in tutto ciò?
Infine, ma non alla fine - Tutto questo per dire che l’uomo deve riformare il concetto di lavoro per giungere ad una esistenza riformata. Prima però deve tornare ad essere un individuum intero e liberarsi dalla sua attuale condizione di organismo scisso - di dividuum – tra quello che deve essere e quello che vuole essere. Trovare un nuovo “a che scopo?”. Ecco di cosa ha bisogno oggi l’umanità. Non “liberare l’uomo dal lavoro” ma liberare il lavoro dall’uomo. Da questo uomo. 

Alè 

domenica 26 febbraio 2012

COPPIA DI SFATTO - SCOPPIA DI FATTO

E' l'impossibile che fa paura
è l'impossibile che spaventa
perchè non può accadere
perchè anima il desiderio
del non possibile
di ciò che non si realizza
che non ha il coraggio di essere
e che ha il coraggio di essere una minaccia
una scheggia
due schegge

E' il desiderio che è desiderio
eterno nel suo non essere
nel suo non dirsi mentre si dice

Un cuore contento
mi chiamasti
Ho il coraggio di confessare
di essere
un cuore e basta
chè la contetezza oggi si misura solo in :
chiacchiere
cibo
viaggi
fatti
racconti
partenze
decisioni
ritorni
e ancora racconti

Schegge solo
solo schegge
senza coraggio

Scordando che il Tempo
bisogna possederlo
Dicendo che il Tempo non si possiede
perchè se lo si possiede
non si sa cosa farci

Quando si è in due
si è sempre in  tre
E il due non è più

Alè.

lunedì 6 febbraio 2012

DEONTOLOGIA

Volti con infinite maschere
e infinite maschere con un volto solo
S'ingannano
dentro un mondo che non sa essere
che appare soltanto


Le Parole travestono
le Parole si travestono
ordinate e pulite
da una realtà che è travestimento
e poco altro.
Dove il Cielo
nasconde e confonde
e la Terra
è appena l'allegoria di altre allegorie e così fino alla Fine
Se solo anche questa Fine
non fosse un'allegoria
di altra e diseguale allegoria
che si chiama Inizio
o forse Scoiattolo - non ricordo bene


E poi?
E poi sempre ancora l'Uomo
Bugia in posizione eretta
Invenzione bipede
Favola raccontata male
pronto a benedire
 - a tutti i costi -
la  sua soppravvivenza.


Ma qui 
l'unica verità è la finzione
l'unica certezza l'illusione
Quaggiù
persino un respiro
è la metafora di se stesso.


Per vivere ci vuole talento.
e noi non ce l'abbiamo.


Alè

sabato 4 febbraio 2012

IN-AZIONE

Soffice
silenzioso
equilibrato
posato
uniforme
ordinato
libero
bianco
luminoso
giusto
perfetto
gelido

Alè

venerdì 27 gennaio 2012

PER NON DORMIRE

Certi giorni
per non morire
devo accontentarmi
di non essere ancora morto.

Certi giorni
questa non è vita.

Ma solo selvaggia sopravvivenza.

Alè

giovedì 19 gennaio 2012

MOLTIPLICAZIONE: ESERCIZIO N. 4

Su questa linea dritta
preso in mezzo da due furie
potenze silenziose
pericolose
immortali
immorali
Ognuna vuole un brandello di me
anche solo una mia parola
anche solo un mio sguardo
solo un mio insensato respiro

Vogliono
ma non esistono
Non sono
Una è stata
l'altra ancora deve essere

Come possono volermi ora?
Ora che io mi trovo qui
qui
dove io sono già stato
qui
dove ancora devo arrivare
Perchè mi volete vostro?
Perchè non c'è nessun qui
e non c'è nessun adesso

Guardatemi
guardate ora i miei piedi
inghiottiti da questa terra di nessuno
guardate i miei occhi nascondersi
in mezzo a questa battaglia furiosa
Guardatemi
mentre rivolgo contro me stesso
le mie armi le mie mani
in questo tempo che non è
in questo luogo che non c'è

Su questa linea 
che oramai si è spezzata
io resto indietro
su questa linea
che ruota impietosa su se stessa
e confonde 
il prima e il dopo
l'inizio e la fine
il passato e il futuro
mentre calpesta un presente
che fugge e ancora fugge

Aspettando che i frantumi si ricompongano
che il diviso sia ancora Uno
e che questa guerra spezzata
torni ad essere 
un cerchio che mi protegga
In un presente infinito.


Un uomo EGLI e non più IO
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